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ARTIGIANATO DEL CODICE
Alcune riflessioni sugli hackers e l'arte
Gabriele Cosentino intervista Florian Cramer (Berlino, 2001)

Intervista inedita

 

?: Si sente spesso dire che la parola hacker si è allontanata dalla sua nozione originale di appassionato di computer dotato di passione per la tecnologia, per spostarsi verso accezioni peggiorative e indicative di devianza come pirata del software e vandalo dei sistemi di sicurezza. Secondo te, qual'è il significato attuale della parola hacker?

FC: Il problema è che non c'è un significato attuale. Naturalmente la definizione classica e il concetto della parola hacker provengono dal libro di Steven Levy, degli anni ottanta, e questa a quanto ne sappiamo oggi è stata molto influenzata da Richard Stallman, il fondatore del progetto GNU e presidente della Free Software Foundation. Stallman ed alcune persone del MIT sono stati i primi a definirsi hacker, e hanno indirizzato la nozione in direzione di un tipo persona che è prima di tutto un programmatore creativo e che si preoccupa della libertà del codice. D'altra parte, conosciamo anche l'accezione di hacker come di qualcuno che fa irruzione in network privati o che abusa la tecnologia, o che la usa in maniera non legittima.
Naturalmente questo è un luogo comune, c'è una vecchia controversia fra queste accezioni, ed entrambe le definizioni sono in conflitto fra loro. Gli hacker anziani come Stallman chiamano gli hacker più giovani "script kiddies" (traducibile con "mocciosi da script", ndt), e questi non si interessano molto di free software, e sono contenti fintanto che possono usare le loro copie illegali del software commerciale.
Direi che se dovessimo arrivare ad una definizione più strutturale della parola hacker, questa dovrebbe basarsi sul termine "hack" (to hack significa aprire, dissezionare, ndt). Che cos'è un hack? Prima di tutto potremmo considerarlo una soluzione ad un problema, una soluzione non convenzionale. Questa nozione di soluzione non convenzionale ha due implicazioni: la prima è che un hack è come un trucco, veloce e sporco, ma che funziona perfettamente. Il mio esempio preferito è quello di un mio amico che non aveva un telecomando, ed usava un manico di scopa come sostituto. Funzionava perfettamente, anche se non era propriamente una soluzione elegante. Non era bella, nè tecnicamente sofisticata, non era certo architettura: si usa qualcosa contro l'intenzione di quelli che l'hanno costruita in primo luogo.
La seconda implicazione è che, dal momento che è una soluzione non convenzionale, un hack è qualcosa di simile al lavoro di un genio. Hai un problema come programmatore in cui hai bisogno di cento linee di codice, e all'improvviso arriva qualcuno con qualcosa che fa la stessa cosa in dieci linee di codice. E' dieci volte più veloce ed elegante. L'idea di intelligenza ed eleganza sono cruciali nella definizione del termine "hack", ma come abbiamo visto con l'esempio del telecomando, un hack può anche non essere elegante, ma anzi quasi l'opposto di una soluzione elegante.
Un hacker è sicuramente qualcuno che si definisce per il fatto che fa degli hack. E' una tecnica che metti in pratica, e definisci te stesso e la tua identità in base alle tecniche che sei in grado di sviluppare e inventare. Non è tanto la parola hack che viene da hacker, quanto il contrario.
Come ho detto, la nozione di hack è abbastanza contraddittoria, ma credo sia molto vicina a quella di arte. Anche l'arte ha entrambe queste implicazioni, di una soluzione non convenzionale che può essere intellettualmente ricca, ma allo stesso tempo può anche essere un qualche strano assemblaggio di strumenti o oggetti che in qualche modo crea qualcosa.

?: Cornelia Sollfrank ha scritto che:" Gli hackers sono artisti - e alcuni artisti a volta sono hackers. L'hacking ha a che fare con restrizioni, ma ancora di più con le regole. Questo è un parallelo con l'arte. L'unica cosa che l'arte fa veramente è rompere i modelli e le abitudini della percezione." Che ne pensi? In che modo credi che l'arte e l'hacking si incontrino?

FC: Credo che si incontrino in maniera differente rispetto a quella descritta da Cornelia, sebbene ho grande rispetto per quello che lei fa. Ha sicuramente un'idea molto chiara dell'hacking e dell'arte. Credo che la sua proposizione sia ancora legata alla nozione romantica di arte, ossia che l'arte debba essere qualcosa che forza i confini, che sia trasgressiva, che sia l'opera di un genio.
Anche questo è definito dall'estetica, come nella citazione. Personalmente vorrei rifarmi ad una nozione di arte assai più antica. Prima che avessimo la nozione di arte in senso moderno, come di qualcosa che si basa su un sistema dell'arte, sui musei, le istituzioni, avevamo il termine latino "ars".
Questo termine non significava solo arte in senso moderno, ma anche scienza, tecnologia o tecnica. Un agricoltore, per esempio, era il praticante dell'arte dell'agricoltura. Significava qualcosa come artigianato, o artifatto, che è forse un sinonimo migliore.
Ciò su cui ho riflettuto negli ultimi due anni è il fatto che forse la nozione di hack potrebbe portarci verso la nozione più antica di arte, ossia di artifatto. Forse l'hacking ci conduce verso la nozione originale di arte, intesa come capacità tecnica.
Prima di tutto l'hacking ha che fare con la tecnologia, quindi in un certo senso non è così importante se può rientrare all'interno della nozione moderna di arte. Alcuni artisti considerano se stessi artisti, altri no. Sono forse artisti in questo senso assai più antico. Hanno delle tecniche, e usano una tecnologia di cui vanno fieri, e che li distingue dagli altri utenti della stessa tecnica o tecnologia. Questo ha delle implicazioni molto interessanti. La domanda da risolvere, in questo secolo, se posso permettermi di accostarmi ad una simile nozione storico-filosofica, riguarda la possibilità di superare la moderna nozione romantica di arte e tornare ad una definizione più pratica. Io credo che la nozione di arte sia stata decisamente forzata nel ventesimo secolo, e che gli artisti l'abbiamo spinta verso isuoi confini più estremi.
A volte mi chiedo se il termine arte possa essere ancora utile per ciò che noi proviamo a descrivere. Questo si applica anche alla net.art, in cui sono stato coinvolto in qualità di membro della giuria per un premio di software art.
Il termine è ancora utile, credo, perché esiste un sistema dell'arte, e ci sono persone che lavorano all'interno di tale sistema, che ancora adopera questo termine. D'altra parte, non sono sicuro se non sia utile come qualcosa di più di semplice termine pragmatico.

?: Credi che gli artisti possano trovare nuove modalità di espressione sulla rete osservando e analizzando le attività degli hackers?

FC: Io credo sia assolutamente necessario. Ovviamente non appena un artista, secondo l'accezione di cui abbiamo parlato prima, entra nella rete e comincia a lavorare con i media digitali, deve diventare un hacker. Almeno, se intende fare qualcosa di decente. La cosa che odio di più è quel tipo di arte che usa quegli strumenti digitali pre-fabbricati, che funzionano più come dimostrazioni tecnologiche. Sto pensando ai cosiddetti ambienti 3D interattivi. Io credo che il compito degli artisti sia quello di arrivare ai livelli più profondi della tecnologia, ai livelli più profondi del codice, e lavorare con esso, esponendolo e rendendolo visibile.
Ma direi che questo è completamente vero non solo per l'arte che opera con la tecnologia digitale, ma anche per l'arte in generale. Se non ti limiti a guardare al computer, ma alla cultura in generale, allora l'arte interessante ha sempre questo aspetto di "hack", questa qualità.
Per esempio si potrebbe dire che l'orinatoio di Duchamps era già un hack del sistema dell'arte. Ha usato il sistema, il modo in cui lo show era curato, e vi ha collocato questo oggetto, lo ho girato. Un hack molto intelligente.
Abbiamo anche queste arti della performance, che allestiscono situazioni nella quotidianità, con improvvise alterazioni della situazione: ad esempio il progetto Luther Blisset di Bologna, che è un impiego molto intelligente di queste tattiche.
Ma potremmo anche andare più indietro nella storia. Un secolo che mi piace molto nella storia della letteratura è il diciassettesimo secolo, in cui era in voga la nozione del cosiddetto "concetto". Il concetto era qualcosa di simile ad un punto retorico e brillante in cui gli opposti si incontravano. Ad esempio poteva essere un poema che si concludeva con una soluzione paradossale. L'intera arte stava nel modo in cui questo intero paradosso era costruito. La parola artificiale oggi ha quasi un'accezione peggiorativa, e credo sempre dal periodo romantico, quando venne dichiarato che l'arte non dovesse essere artificiale. Nel diciasettesimo secolo, invece, le persone erano interessate all'artificiale, e più artificiale era un'opera, tanto meglio.
C'erano opere poetiche che descrivevano come costruire "concetti". Io reputo questi lavori come dei manuali di hacking ante litteram, manuali di hacking del linguaggio del diciasettesimo secolo.
Forse come studiosi interessati alla cultura nel suo complesso, dovremmo operare con questa nozione di hack, e andare molto più indietro nella storia e provare a vedere se c'erano simili fenomeni, e non limitarci alla programmazione.

?: Nel passato abbiamo visto diversi progetti basati su alcune forme di "hacking" della tecnologia di rete, sviluppati da artisti (Digital Hijack di Etoy) o in "circostanze artistiche" (Electronic Disturbance Theatre at Ars Electronica 1998). Possiamo veramente considerare questi progetti degli "hack"? La qualità tecnica è un fattore rilevante in questi progetti artistici? O dovrebbero forse essere giudicati secondo parametri differenti, magari più specifici del sistema dell'arte?

FC: Credo che in parte ti sei già dato una risposta. Ovviamente quando parliamo di hacks, parliamo di tecniche e tecnologia, e la qualità di un hack è sempre giudicata dalla qualità delle sue tecniche. Si può tranquillamente dire che iprimi tentativi di hack artistici sono abbastanza low tech e primitivi, e nessun vero hacker li potrebbe considerare hack, questa è la realtà. In un certo senso usano il sistema dell'arte come "rete di sicurezza", e in effetti possono essere considerati un'interessante intersezione del sistema artistico con l'hacking.
Per me è sicuramente interessante, ma non solo come intersezione, ma anche come forma di politica. Sembra illustrare che l'hacking sta diventando un concetto cruciale per l'attivismo politico. Le implicazioni sono sicuramente interessante. Un hack è sempre qualcosa di microscopico, è una piccola manipolazione o intervento in un sistema, ma sempre con il potenziale che potrebbe far crollare tutto il sistema, o cambiarlo.
Potremmo chiamare l'hacking "micropolitica". Probabilmente è molto significativo che con il crollo delle grande utopie politiche, l'hacking potrebbe essere oggi considerato non solo una tecnica per l'attivismo politica, ma una vera e propria ideologia. Penso che sia diventata una ideologia, un tipo di politica che definisce se stessa per il fatto di compiere degli hack per raggiungere i propri obiettivi, e non per essere rivoluzionaria o marxista.

?: Una volta hai scritto che il free software e il no copyright sono state la base per lo sviluppo dei protocolli di rete, e quindi della stessa Internet, sia dal punto di vista tecnico che culturale. Credi che quello del free software potrebbe rappresentare un significativo paradigma di lavoro per progetti artistici sulla rete?

FC: Questa è una domanda per cui non ho ancora trovato una vera risposta. Devo spiegare perché. La prima spiegazione è che se prendiamo l'arte seriamente, allora l'arte è per noi una forma di conoscenza. Quindi se l'arte è questo, essa è quindi soggetta all'economia e all'etica del sistema di distribuzione del sapere.
E' perciò importante che un'opera d'arte, specialmente di arte digitale, sia disponibile in forma e distribuzione aperta, sebbene mi renda conto che questa è un po' una scommessa per chi vive e lavora in un sistema dove non è così facile fare soldi come nell'ambito dello sviluppo di software. Il free software è sviluppato da persone che hanno un reddito talmente alto che si possono permettere di sviluppare free software nel tempo libero. Questo pone gli artisti in una posizione molto difficile.
Abbiamo già diversi decenni di arte digitale, ma questa ha soltanto preso piede solo negli anni ottanta, e in larga parte è stata bloccata in forma proprietaria. Per esempio, la prima computer art, i primi esperimenti di letteratura digitale, era scritta in Hypercard per Macintosh. Apple ha smesso di produrre gli stack di Hypercard, ed è difficile far girare gli stack sui nuovi sistemi. Così questo è quello che succede se gli artisti scrivono software per progetti artistici usando strumenti proprietari, in un certo senso creano delle demo per il software, e contribuiscono a rafforzare gli introiti e il marketing chiuso di queste società. Quindi credo che se sei un artista che lavora con i media digitali ti devi chiedere seriamente quale tecnologia intendi usare e se le forme di dati che utilizzi sono disponibili apertamente.
L'altra cosa, cioè se la distribuzione dell'arte stessa dovrebbe essere open source o meno, anche questa è una domanda difficile, sempre a causa delle fonti di introito. Se l'arte è conoscenza, allora è sicuramente importante. D'altra parte si può anche dire che tutta la questione riguardo al fatto se il software deve essere libero o meno è una questione etica. Beh, ci sono alcune buone ragioni pragmatiche per usare il free software, perché ti permette di compilare il codice sorgente di un programma che era stato sviluppato negli anni settanta per un sistema Unix, come potresti essere in grado di farlo fra vent'anni. Al contrario, sfido chiunque a trovare un software proprietario che ha vissuto più di dieci anni. Quindi qualsiasi cosa che si basi su quel software è destinato a scomparire. D'altra parte, se è una questione etica quella di rendere libero il codice, allora l'arte dovrebbe avere la possibilità di non essere etica. Dovrei avere la possibilità di fare qualcosa che non è politicamente corretto, qualcosa di malvagio e folle che incasina tutto, e che non potrai usare fra cinque anni. Penso che un buon esempio di questo sia il software di Netochka Nezvanova, che abbiamo visto a Transmediale. Questo è un punto interessante, che tu possa creare qualcosa che si distingue dal resto, qualche pezzo veramente malvagio che devi per forza odiare in termini politici o etici.
E' una questione aperta per me quella di capire quanto stretta dovrebbe essere la relazione fra il free software e l'arte digitale, ma credo che ogni artista dovrebbe chiedersi se il suo lavoro possa o debba essere implementato attraverso il free software o distribuito come free software.


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