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SOFTWARE ART
di Florian Cramer e Ulrike Gabriel (2001)

http://userpage.fu-berlin.de/~cantsin/homepage/index.html
pubblicata per il catalogo di Transmediale 2001



Cos'è la software art? In che modo si può definire genericamente cos'è "software"? Abbiamo dovuto trovare una risposta almeno provvisoria a queste domande quando ci è stato chiesto di far parte, insieme all'artista e programmatore John Simon jr., nella giuria del premio per il miglior "software artistico" al festival d'arte Transmediale.01 di Berlino.

Da più di un decennio esistono festival, premi, mostre e pubblicazioni dedicate alle varie forme di computer art: computer music, grafica, letteratura elettronica, Net Art e installazioni interattive controllate da computer, giusto per nominarne alcune, ognuna delle quali ha le sue istituzioni e un proprio discorso. Classificazioni come questa mostrano che l'attezione viene rivolta normalmente a come - e cioè attraverso quale medium - le opere d'arte digitale si presentano al pubblico, dal punto di vista dell'aspetto esteriore. Queste classificazioni mostrano anche che l'arte digitale viene tradizionalmente considerata parte di una "(new) media art", un termine che copre allo stesso modo mezzi analogici e digitali e che storicamente ha le sue radici nella video arte. Ma non è un falso assunto dire che l'arte digitale - cioè un arte che consiste in zeri e uno - è derivata dalla video arte solo perché i dati di un computer sono convenzionalmente visualizzati su uno schermo?

Chiamando l'arte digitale "(new) media art", la percezione del pubblico si è concentrata sugli zeri e uno in formato di particolari mezzi visivi, acustici o tattili, e non sulle strutture di programmazione. Questo punto di vista è rafforzato dal fatto che gli algoritmi impiegati per generare e manipolare computer music, grafica elettronica e testo digitale sono frequentemente - se non nella maggior parte dei casi - invisibili, ugualmente sconosciuti al pubblico e allo stesso artista. Nonostante la storia della computer art sia ancora breve, è ricca di lavori la cui programmazione risiede in scatole nere o viene considerata semplicemente un processo preparatorio che avviene "dietro le quinte" rispetto al lavoro finito (e chiuso) su CD, libro, in Internet o in un ambiente "interattivo in tempo reale". Per esempio, la distribuzione di "Roarotorio" di John Cage, un'opera sonora generata da algoritmi, include un libretto, un CD e brani della partitura, ma nemmeno un frammento del programma che è stato impiegato per elaborare la partitura.

Mentre il software - un codice di programmazione basato su algoritmi - viene inevitabilmente usato in tutta l'arte prodotta e riprodotta digitalmente, esiste una lunga storia di come il software sia stato ignorato come materia artistica e come fattore chiave nell'idea e nell'estetica di un'opera. Questa storia scorre parallela all'evoluzione del computer dai sistemi che potevano essere usati solo da programmatori a sistemi come Macintosh e Windows che, grazie alla loro interfaccia grafica, camuffavano il fatto banale di girare sulla base di un codice di programmazione, sia per le loro operazioni sia per avere un particolare aspetto estetico. Nonostante questa storia, ci ha sorpreso notare che il premio per la software art dell'edizione 2001 di Transmediale non solo comparisse per la prima volta in quel festival, ma che fosse in assoluto il primo nel suo genere.

Quando nel 1997 il progetto londinese di arte digitale IO/D lanciò un browser sperimentale per il World Wide Web, "Web Stalker" (www.backspace.org/iod), il lavoro fu percepito come un'opera di Net Art. Invece di presentare i siti Web sotto forma di pagine regolarmente formattate, Web Stalker mostrava i loro codici di controllo interno e visualizzava la loro struttura di link. Rendendo il Web illeggibile in termini convenzionali, il programma lo rendeva leggibile dal punto di vista del codice sottostante, e questo faceva sì che gli utenti erano consapevoli che i segni digitali sono strutturalmente degli ibridi di codice interno e di disposizione esteriore che dipende in modo arbitrario dal formato degli algoritmi. E in più, lo stesso aspetto esteriore è generato da altro codice: il codice di Web Stalker può anche smontare il codice del Web, ma lo fa riformattandolo secondo un'altra disposizione che semplicemente finge di "essere" il codice stesso.

Web Stalker può essere letto come un'opera di Net Art che esamina criticamente il proprio medium, ma è anche una riflessione su come la realtà è modellata dal software, dal modo in cui del codice processa codice. Se i sistemi complessi e gli stessi processori generativi diventano linguaggio, la formulazione diventa creare una cornice all'interno della quale funzionerà il sistema e una forma di controllo di questo comportamento. L'operazione congiunta di questi processi crea un'estetica propria che non si manifesta più in compiti ristretti all'interno di un'applicazione, ma nella composizione libera di un sistema nel suo complesso. (Lo sviluppo di software consiste semplicemente in questo).

Se il software è un codice per il controllo della macchina, ne consegue che i media digitali sono, letteralmente, scritti. La letteratura elettronica non è quindi un semplice testo, o un misto di testo ed altri media che circolano nei networks dei computer. Se la “letteratura” può essere definita come un qualcosa che è fatto di lettere, il codice del programma, i protocolli software e i formati dei files delle reti di comuper costituiscono una letteratura il cui alfabeto sottostante è fatto di zeri ed uno. Facendo girare il codice su sé stesso, questo codice viene continuamente trasformato in alfabeti di alto livello composti di lettere alfanumeriche leggibili dall’essere umano, pixel grafici ed altri significanti. Questi significanti fluttuano avanti e indietro da un aggregazione e un formato a un altro. I programmi dei computer sono scritti con una sintassi altamente elaborata di livelli di codice multipli, mutualmente interdipendenti. La differenza è ovvia quando si compara un messaggio e-mail convenzionale con un virus via e-mail: sebbene siano entrambi brevi pezzi di testo il cui alfabeto rimane lo stesso, il virus contiene una sintassi di controllo della macchina, un codice che interferisce con il sistema (codificato) cui viene inviato.

Parlare di software art comporta un salto nella concezione dell'artista dall'allestimento esterno alla creazione degli stessi sistemi e processi. Il concetto di "media" non copre tutto questo; "multimedia", come termine ombrello per operazioni di formattazione e allestimento esterno di dati, non implica per definizione che i dati siano digitali né che la formattazione sia basata su algoritmi. Non di meno, il “Web Stalker” dimostra che il multimedia e termini come Net Art da un lato e software art dall’altro non sono in alcun modo categorie esclusive. Potrebbero invece esser viste come prospettive differenti, l’una basata sulla distribuzione e l’illustrazione, l’altra sulla sistemica.

Ma un codice generativo appartiene esclusivamente alla programmazione per computer? La risposta è stata data dalla matematica vera e propria e dai molti modi in cui storicamente strutture algoritmiche sono state impiegate nelle arti. Un esempio classico relativamente recente è la Composizione 1961 No.1, January 1 del compositore contemporaneo ed ex-Fluxus La Monte Young, che viene considerata allo stesso tempo uno dei primi pezzi di musica minimale e una delle prime istruzioni per performance di Fluxus:

"Draw a straight line and follow it." ["Disegna una linea diritta e seguila"] - [1]

Questo può essere considerato un'opera seminale di software art perché le sue istruzioni sono formali. Allo stesso tempo, è estremizzata nelle sue conseguenze estetiche, nell'implicazione di attraversare uno spazio e tempo infiniti. A differenza della maggior parte della musica basata sulla notazione e il teatro scritto, la sua notazione non è esteticamente separata dalla performance. La linea da disegnare potrebbe addirittura essere considerata come un'istruzione di secondo livello per l'atto di seguirla. Ma se diventa praticamente impossibile eseguire fisicamente la notazione, essa diventa meta-fisica, concettuale, epistemologica. In quanto tale, l'opera poteva fare da paradigma per la definizione data da Henry Flint nel 1961 di Concept Art come "arte la cui materia sono i 'concetti', tanto quanto la materia per esempio della musica sono i suoni" [2]. Collegando l'arte dell'idea [concept art] ai formalismi artistici come la musica dodecafonica, Flynt sostiene che la struttura o l'idea [concept] di questi lavori è, presa in se stessa, esteticamente più interessante del prodotto della loro esecuzione fisica. Per analogia, vorremmo definire la software art come un'arte il cui materiale è il software.

La Concept Art di Flynt integra anche la matematica, sul piano acognitivo della "de-enfatizzazione" [de-emphasiz(ing)] del suo contributo alla scoperta scientifica [3]. Con questa affermazione Flynt si allinea, paradossalmente, con l'importante scienziato informatico contemporaneo Donald E. Knuth, che considera la matematica applicata della programmazione come un'arte (il suo famoso compendio di algoritmi s'intitola coerentemente "L'arte della programmazione" [4]. Quindi a Transmediale la giuria del premio per la software art avrebbe dovuto essere composta di matematici e informatici che avrebbero giudicato i concorrenti per la bellezza del loro codice?

Quello che intendiamo con arte concettuale oggi è meno rigoroso nella sua immaterialità di quello che aveva in mente Flynt. E' comunque degno di nota che la prima grande mostra di questo tipo di arte concettuale fu chiamata "Software" e metteva effettivamente a confronto oggetti d'arte con installazioni di software informatico [5]. Curata nel 1970 dal critico d'arte e teorico dei sistemi Jack Burnham al New York Jewish Museum, la mostra era "basata - come suggerisce Edward A. Shanken - sull'idea del software come metafora dell'arte" [6]. Metteva in evidenza quindi la dimensione cibernetica sociale dei sistemi programmati anziché, come Flynt, la pura struttura.

Trent'anni più tardi, dopo che l'uso del personal computer si è diffuso dovunque, gli stereotipi culturali di cos'è software sono diventati più solidi. La stessa aspettativa che il software, a differenza di qualunque altra forma di scrittura, sia uno "strumento funzionale" e non estetico è già di per sé un'aspettativa estetica, ma nonostante questo è diventato comunque più probabile che la software art reagisca a questi stereotipi piuttosto che emergere come un asettico costrutto concettuale. Ancora Web Stalker può essere considerato in questo modo; in modo simile, i due lavori scelti per il premio di Transmediale - Signwave Auto-Illustrator di Adrian Ward e Nebula M.81 di Netochka Nezvanova - sono dei programmi per PC che reagiscono al modo convenzionale di codificare il software, mappandone le funzioni interne contro il significante corrispondente nell'interfaccia utente (Auto-Illustrator) o mappando i significanti prodotti esternamente dal programma contro la leggibilità umana (Nebula M.81).

La gamma di lavori presentati per il premio software art di Transmediale.01 mostra che scrivere codice è un'attività profondamente personale. Il codice può essere un diario, poetico, oscuro, ironico o sovversivo, anacronistico o impossibile, può simulare e nascondere, ha una retorica e uno stile, può essere un punto di vista. Simili attributi possono dare l'impressione di contraddire il fatto che il controllo artistico sulle iterazioni generative del codice della macchina sia limitato, che il software sia stato scritto dall'artista o no. A differenza degli artisti che negli anni '60 seguivano le orme di Cage, gli artisti di software che abbiamo preso in considerazione sembrano concepire i sistemi generativi non come una negazione di intenzionalità, ma come un equilibrio di casualità e controllo. Il codice del programma diventa allora un materiale con cui l'artista lavora consapevolmente. Lungi dall'essere semplicemente arte per delle macchine, la software art è profondamente legata alla soggettività artistica e al modo in cui si riflette e si estende in sistemi generativi [7].

 

Bibliografia

[Fly61] Henry Flynt. Concept art. In La Monte Young and Jackson MacLow, editors, An Anthology. Young and MacLow, New York, 1963 (1961).
[hun90] George Maciunas und Fluxus-Editionen, 1990.
[Knu98] Donald E. Knuth. The Art of Computer Programming. Addison-Wesley, Reading, Massachusetts, 1973-1998.
[Sha] Edward A. Shanken. The house that jack built: Jack burnham's concept of `software` as a metaphor of art. Leonardo Electronic Almanach, 6(10).

Note:

1 Riproduzione in facsimile inclusa in [hun90], senza numero di pagina

2 Henry Flynt, Concept Art [Fly61] "Dal momento che i 'concetti' sono strettamente legati al linguaggio", scrive Flynt, "l'arte concettuale [concept art] è un tipo di arte la cui materia prima è il linguaggio".

3 ibid.

4 [Knu98]

5 Fra questi, il sistema ipertestuale di Ted Nelson alla sua prima apparizione pubblica, secondo Edward A. Shanken, The House that Jack Built: Jack Burnham's Concept of ``Software'' as a Metaphor for Art, [Sha]

6 ibid.

7 O, con le parole di Adrian Ward: "Suggerirei piuttosto che dovremmo pensare di incorporare la nostra soggettività creativa in sistemi automatizzati, piuttosto che cercare ingenuamente di far sì che un robot abbia i 'suoi' obiettivi creativi. Molti di noi lo fanno già un giorno sì e uno no. Lo chiamiamo programmare" (da un messaggio E-Mail alla mailing list "Rhizome", 7 maggio 2001)

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"c u in he][l][avan" (mez, _Viro.Logic Condition][ing][ 1.1_)


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